Performance di produzione: gli indicatori da monitorare

Un cruscotto di indicatori delle performance di produzione rappresenta lo strumento principale per monitorare, ed eventualmente migliorare, gli standard produttivi. Soprattutto oggi, nell’era di Industry 4.0, l’attingibilità delle performance di produzione può essere semplificata grazie all’adozione di sistemi MES (Manufacturing Execution System) interconnessi con i software gestionali aziendali o ERP (Enterprise Resource Planning). Infatti, fra le tecnologie abilitanti previste dal paradigma 4.0, e sostenute con le agevolazioni fiscali del Piano nazionale che in Italia è stato confermato dal 2016 ai giorni nostri, rientrano quelle per l’integrazione orizzontale e verticale delle informazioni lungo la catena del valore. L’integrazione orizzontale consente, attraverso la connessione degli impianti produttivi, sia di automatizzare i processi sia di attingere in tempo reale ai dati di stabilimento per conoscere, appunto, le performance di produzione. L’integrazione verticale, invece, collega la produzione con le altre aree aziendali. L’interoperabilità tra ERP e MES ne è un chiaro esempio, poiché permette di confrontare dati reali con indicatori teorici di prestazione.

 

OEE, il principale indicatore delle performance di produzione

Tra i modelli KPI (Key Performance Indicator) maggiormente adoperati per analizzare le performance di produzione, al primo posto va considerato l’OEE (Overall Equipment Effectiveness). Pur trattandosi di una misura di grandezza che risale a prima dell’avvento del 4.0, il suo utilizzo non solo è tuttora valido, ma la possibilità di attingere a una quantità maggiore di dati, per esempio tramite architetture e dispositivi IoT (Internet of Things), lo rende ancora più accurato. Il calcolo delle performance di produzione mediante l’OEE si basa su 3 voci correlate:

  • disponibilità fra tempo effettivo di produzione e tempo pianificato;
  • prestazione, che si ottiene paragonando il rapporto tra pezzi realizzati e pezzi idealmente realizzabili;
  • qualità, che si ricava dal rapporto fra tempo speso nella produzione di pezzi buoni e tempo totale dell’attività produttiva.

Ciascuna di queste voci influisce su quelle che vengono definite “six big losses”, vale a dire le sei maggiori cause di perdita quando si monitorano le performance di produzione.

 

Quali sono le “sei grandi perdite” previste nella metrica OEE

I six big losses sono suddivisi nel modo seguente:

  • guasti delle macchine, che comprendono malfunzionamenti a un impianto, esigenze di manutenzione non programmata, rotture di utensili o di attrezzature;
  • tempi di setup che possono dipendere dalla mancanza del materiale o dalla sua non conformità, oppure dal bisogno di regolare la macchina al riavvio dovuto all’attrezzaggio per nuovi prodotti;
  • piccole interruzioni a motivo di componenti mescolati, errori di alimentazione o per fenomeni di assenteismo degli operatori, seppure di breve durata;
  • rallentamento dei ritmi produttivi per questioni legate a problemi tecnici o di altra natura;
  • scarti al riavvio che si presentano soprattutto nelle prime fasi di una nuova produzione;
  • scarti per difetti e rilavorazioni spesso derivanti da malfunzionamenti o settaggi errati dei macchinari.

Le “sei grandi perdite” mettono in condizione il responsabile di stabilimento, che attinge ai dati sulle performance di produzione con un apposito sistema informativo, di intervenire tempestivamente e porvi rimedio.

 

Gli altri KPI per monitorare le performance di produzione

Accanto all’OEE, le aziende possono aggiungere altri KPI per avere un quadro ancora più esaustivo delle performance di produzione. Ad esempio, l’indicatore CPD (Capacità Produttiva Disponibile) offre una visione, proiettata lungo un orizzonte temporale definito, della capacità produttiva riferita a una macchina o una linea di produzione. O, ancora, un altro indicatore come la produttività (da non confondere con l’OEE) serve a misurare il tasso di efficienza con cui vengono impiegate le risorse in input per generare l’output atteso. Il Potenziale di Mix, invece, o Pmix, si calcola come rapporto tra quantità di pezzi prodotti, conformi o meno, e tempo impiegato nell’attività produttiva. Esistono, poi, altre metriche anche in funzione del settore specifico nel quale opera l’impresa, ma è importante ricordare che, senza il ricorso a software ad hoc che siano in grado di raccogliere i dati, aggregarli e trasformarli in insight, difficilmente si avrà un quadro attendibile e immediato delle performance di produzione.

white paper - pmi data-driven