Il termine business continuity è comunemente associato a sicurezza informatica e risk management.
Un attacco informatico può fare danni gravi e, in particolare quando colpisce aziende che operano in settori cruciali, non ha effetti solo sul business. Per fare solo un esempio, l’attacco ransomware Conti al sistema sanitario nazionale irlandese, nel 2021, ha provocato tra gli altri danni il posticipo di esami e interventi clinici in 32 dei 54 centri ospedalieri nazionali.
La business continuity non è d’altra parte solo il risultato di un buon lavoro di cybersecurity. Una infrastruttura IT adeguata, ben integrata e sempre aggiornata, è per esempio un fattore essenziale da considerare ai fini della continuità operativa.
La capacità di controllare i dati in maniera agile, e un utilizzo delle risorse limitato al necessario permettono infatti di evitare sovraccarichi di sistema o errori di comunicazione tra applicativi. Tutti inconvenienti che possono, appunto, compromettere la business continuity. E tutti inconvenienti nei quali, inoltre, la qualità del proprio sistema gestionale va considerata parte del problema come della sua soluzione.
Studi recenti e meno recenti confermano che le disruption più comuni originano spesso da sistemi di gestione non correttamente profilati. Sono più vulnerabili, tra l’altro, perché non riescono a reggere carichi di lavoro diversi da quelli per i quali sono stati testati.
Un tema è per esempio quello dell’aggiornamento dell’infrastruttura IT a disposizione, e della scalabilità dei suoi componenti. Poter amministrare dinamicamente le risorse del sistema è un obiettivo strategico che dovrebbe avere chi sta configurando l’ossatura digitale della propria azienda. I sistemi cloud-based offrono da questo punto di vista maggiori garanzie, permettendo implementazioni anche notevoli senza grossi sforzi. (Almeno in teoria, perché spesso la pratica smentisce questo assunto.)
D’altra parte, la disponibilità di spazio e risorse non garantisce di per sé la business continuity. La corretta configurazione e ancor più l’integrazione tra risorse aggiuntive e preesistenti hanno da questo punto di vista peso maggiore. Quando tale integrazione funziona davvero, infatti, può limitare i danni di un downtime, per esempio garantendo accesso immediato a risorse di backup o di operatività da remoto.
Al centro di una infrastruttura IT “senza interruzione di continuità” c’è anche la comunicazione fluida tra gli applicativi che la compongono. Sovraccarichi di risorse, ridondanze e ripetizioni nella trasmissione dei dati dall’uno all’altro complicano infatti efficienza e produttività, oltre ad affaticare l’infrastruttura stessa. Una comunicazione fluida permette allora di ottenere continuità operativa e protegge da fastidiosi data losses.
L’operatività dei business moderni, poi, passa per una stretta connessione con l’ecosistema aziendale, quindi anche con applicativi non direttamente nelle disponibilità delle aziende stesse. Basti pensare ai differenti portali o gestionali esterni con cui ci si deve relazionare quando si ordinano forniture o, nell’altro verso, si concludono accordi di vendita. Una corretta definizione dei workflow necessari e delle compatibilità di sistema è, anche in questo caso, essenziale per evitare fastidiosi black-out.
Al tempo stesso ci sono applicazioni core delle quali è ancora più importante controllare l’affidabilità, in quanto gestiscono i dati cruciali per il business aziendale. Parliamo in primo luogo dei sistemi di Enterprise Resource Management, fulcro della supply chain e di buona parte del potenziale operativo di un’azienda.
In quanto tali, gli ERP vanno tenuti costantemente sotto controllo. Blocchi operativi a questo livello producono infatti diverse tipologie di inconvenienti, tutti nefasti. Per citarne alcuni:
Se, dunque, un ERP controlla i processi chiave dell’azienda, come evitarne problemi di funzionamento, blocchi di continuità e tutte le criticità sopra elencate?
La prima risposta è nel titolo di questo post: assicurando la giusta infrastruttura IT. Ciò significa, nel caso specifico, verificare che il gestionale in uso sia sempre aggiornato e in grado di comunicare efficacemente con il sistema IT di cui fa parte.
Ancora, per mantenere la continuità operativa serve un business continuity plan. Un piano, cioè, che valuti periodicamente eventuali obsolescenze, sia pensato per reagire immediatamente e lavorare per risolvere o assorbire eventuali blocchi operativi.
Altro accorgimento importante è, poi, quello di adeguare costantemente il sistema gestionale ai compiti da svolgere e ai piani di sviluppo aziendale. Secondo una statistica di qualche anno fa, in questo modo si riescono ad aumentare fino al 17% i livelli di disaster recovery.
Un buon piano d’azione e, insieme, una valida programmazione dell’infrastruttura IT permettono allora di evitare quell’overload di sistema spesso all’origine delle interruzioni dell’operatività. Tale programmazione va fatta non soltanto dagli operatori IT dell’azienda, ma anche con partnership strategiche con i provider del sistema ERP.
In un sistema tecnologico in costante evoluzione, è cruciale infatti lavorare a stretto contatto con chi produce e distribuisce il sistema gestionale, giocando d’anticipo rispetto a necessità e bisogni dell’azienda. Che, così, potrà sempre contare su un’infrastruttura adeguata alle sue esigenze.
E potrà garantire, appunto, la business continuity.
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